domenica 30 dicembre 2012

Stasera per cena...

...Una bella padella di cozze e vongole.
Io le ho fatte così: ho fatto aprire entrambi i molluschi facendoli scaldare, a fuoco vivace, in un'ampia padella; già a 60°C si ha la denaturazione delle glicoproteine responsabili della saldatura delle valve.
Ricordo di scartare i mitili che non si aprono.
Poi le ho trasferite in un'altra padella in cui era già pronto un sughetto preparato con dei pomodori pelati, dell'olio extravergine di oliva e uno spicchio d'aglio (che ho tolto dopo un po').
A fine cottura ho aggiunto del pepe e del prezzemolo.
Dal punto di vista nutrizionale si tratta di un buon piatto ricco di proteine (11%), vitamine (B12, E), sali minerali (potassio, selenio e ferro) e pochi grassi (tra cui però spiccano gli omega 3).
Attenzione che la classica spruzzata di limone non ha alcun potere battericida e non rende sicura l'ingestione di mitili che non sono stati sottoposti a cottura.

Intervista al runner estremo Stefano Miglietti


Con Stefano
Stefano Miglietti è un imprenditore bresciano di 45 anni, padre di tre figli.
Pratica sport da sempre: tennis a livello agonistico, rugby, alpinismo e sci alpinismo.
Tutto nasce dalla passione per la montagna e la natura. Lo scopo che spinge Stefano a queste sfide è quello di stare in luoghi incontaminati, non tanto la corsa in sé. Si tratta di un suo percorso, del tutto personale.

Le sfide estreme iniziano nel febbraio del 2003 quando partecipa, arrivando quinto, alla manifestazione Susitna 100, una gara podistica di 160 km tra i ghiacci dell’Alaska.
A dicembre dello stesso anno attraversa il deserto libico del Murzuq, 380 km in sei giorni.

Due anni dopo, a febbraio del 2005, vince la Yukon Artic Ultra, una corsa di 530 km in mezzo ai ghiacci del Canada, con temperature anche di -40°C.

A gennaio del 2006 compie un’impresa ancora ineguagliata: attraversa in cinque giorni e un’ora i 435 km del deserto egiziano The Great Sand Sea in completa autosufficienza, trainandosi un carretto con tutto il necessario per la sopravvivenza.

A dicembre del 2006 attraversa il deserto egiziano Gilf Kebir, percorrendo 340 km in tre giorni e cinque ore, correndo quindi a una media di 9 km/h.

A dicembre 2007 vince assieme a Chicco Ghidoni la Yukon Artic Ultra, stabilendo il record assoluto della gara: cinque giorni e sei ore per percorrere l’intero tragitto della categoria “320 miglia”, con temperature spesso vicine ai -40°C e trainando una slitta di 20 kg.

A settembre 2008 attraversa il deserto egiziano detto Kharafish, il suo quarto deserto, percorrendo 200 km in 44 ore; per compiere questa impresa, mai tentata da nessuno, Stefano ha marciato anche di notte, riposando pochissimo.

A gennaio 2011 stabilisce il record del mondo delle dieci maratone consecutive toccando tre deserti egiziani: il Black Desert, il White Desert e il Great Sand Sea. Sono 422 km in 52 ore e 30 minuti, senza riposo, abbassando di venti ore il precedente record dell’atleta americano Dean Karnazes.

Ed è di poche settimane fa l’ultima incredibile esperienza di Stefano: la traversata della depressione del Qattara in Egitto, 250 km in 38 ore, senza acqua né cibo. Ed è proprio questo aspetto che mi ha incuriosito e mi ha spinto a contattarlo.
Nell’attesa di leggere l’intervista, che verrà pubblicata domani, vale davvero la pena visitare il sito dell’associazione sportiva dilettantistica Avventurando, dove sono descritte nel dettaglio (con fotografie, filmati e diari di viaggio) tutte le avventure di Stefano Miglietti, detto il Miglio.

Una cosa importante: il ricavato delle diverse avventure è donato in beneficenza.

ClorofillaLa prima domanda, che immagino tutti ti faranno, è: perché?
Stefano: Le risposte sono tante. Diciamo che ho voluto mettermi alla prova ulteriormente, ho voluto alzare l’asticella della difficoltà per vedere dove potevo arrivare a livello fisico e mentale. Ho voluto fare qualcosa che nessuno aveva mai osato fare prima anche perché ritenuto impossibile dal punto di vista medico. E poi, quando arrivi a certi livelli di sfinimento, c’è una introspezione del tutto particolare, riesci a ricavare energie dentro di te che non immagini nemmeno di possedere. Arrivi a conoscerti davvero in profondità e a scoprire delle cose di te che non penseresti neanche di avere. Ogni volta che torno da un’esperienza, torno arricchito.
CCome sportivo, come ti definiresti?
S: Tutti dicono runner, ma in realtà io mi allenano correndo. Poi durante queste sfide quello che faccio è camminare velocemente, a circa 6,5 km/h. In quest’ultima esperienza ho corso per la prima metà, in modo da metterci il meno tempo possibile perché sapevo di non poter stare senza acqua troppo a lungo. Facevo tratti a 9-10 km/h per poi recuperare un po’. Nell’ultima parte ho camminato e la media è stata di circa 5 km/h.
CImmagino sarai attentamente monitorato dal punto di vista medico.
S: Neanche più di tanto. Magari all’inizio, ma adesso mi conosco molto a fondo e faccio da solo; tendo a non ascoltare i consigli degli altri. Certo c’è un’usura del fisico molto importante, soprattutto a livello articolare; in dieci anni ho fatto circa 60.000 km. Non ho più l’elasticità di una volta, sono più rigido e corro meno veloce rispetto a qualche anno fa. Poi non sono uno che fa tanto stretching, non mi faccio mai massaggiare, anche se so che sarebbe molto importante.
CLa domanda più ovvia è: ma come è possibile camminare per 250 km in 38 ore nel deserto, senza mangiare, ma soprattutto senza bere?
S: In effetti mi hanno dato tutti del matto. Non ho voluto pubblicizzare tanto l’impresa perché non è un bel messaggio da lanciare, bisogna fare molta attenzione. Io mi sono preparato tantissimo facendo allenamenti molto lunghi senza mangiare né bere, anche se ovviamente nel deserto a quasi 40°C e con sulle spalle centinaia di chilometri, è un’altra cosa. Ho sofferto la sete in modo pazzesco.
CFisiologicamente come credi sia possibile?
S: Non lo so. Ma la sofferenza è stata tanta, non riuscivo a deglutire, ho avuto dolori, crampi e visioni. Ad esempio le piaghe ai piedi, che di solito mi vengono dopo circa 250 km, in questo caso sono arrivate molto prima, forse per la disidratazione. Ma quelle non le ho ascoltate, non mi sono nemmeno mai tolto le scarpe, mentre di solito cerco di medicare le piaghe in qualche modo. Avrei davvero potuto cedere da un momento all’altro. I problemi sono iniziati dopo i primi 140 km, quando ormai si era fatto di nuovo giorno. Mi sono ripreso un po’ quando è tornato il fresco della sera, aiutandomi con un po’ di stretching. Sono proprio arrivato all’estremo, completamente svuotato, se avessi dovuto fare altre cinque ore penso che senza acqua non avrei resistito. Sarà un’impresa che, comunque, non ripeterò più. È senz’altro la prova più dura che ho fatto e il fisico si logora troppo con questi estremi. Nelle prossime mangerò e berrò, e anche molto.
CIn cosa consistevano le visioni?
S: Vedevo dei pellerossa che mi accompagnavano, erano straordinariamente reali. Ho dovuto fare uno sforzo incredibile per restare lucido e fare in modo che non diventassero allucinazioni. Se solitamente dico che il 50% di queste prove le fai con la testa, in questo caso azzardo un 70% di componente mentale
ClorofillaE se avessi avuto bisogno di aiuto?
Stefano: Sono stato aiutato da una guida del posto che conosco perfettamente; i soccorsi erano a circa due ore di distanza. Diciamo che conosco molto bene il mio fisico e ho un mio margine di sicurezza, non sono un folle. Il campanello d’allarme lo avverto a livello cardiaco e non muscolare.
CChe cosa avevi con te?
S: Avevo un piccolo zaino con dentro il GPS, il telefono satellitare, una crema per la protezione solare, un cappellino (anche se ho sempre utilizzato una bandana), una giacca anti-vento, un paio di guanti (che non ho usato perché le condizioni climatiche erano buone), un piumino senza maniche e un pile per la notte. Avevo anche una microtelecamera con cui ogni tanto facevo delle riprese e registravo le mie impressioni.
CCome curi normalmente la tua alimentazione?
S: Da questo punto di vista credo di non essere un esempio di perfezione. Sono certo che alimentandomi meglio potrei rendere di più, ma preferisco mangiare quello che mi sento. Preciso che non sono sregolato, mangio un po’ di tutto, non bevo alcolici anche se la birra mi piace molto. A pranzo mangio un primo in bianco o della carne. Se mi alleno in pausa pranzo al rientro mi preparo solo un’insalata, per motivi di tempo. E quando succede questo, arrivo alla cena che mangerei il tavolo.
CCome fai colazione?
S: Mangio tanta frutta e delle fette biscottate con la marmellata. Non faccio spuntini, anche se mi dicono che dovrei.
CNiente alchimie di integratori quindi?
S: No, no, cibi naturali. Non prendo aminoacidi, uso anche pochi sali minerali. A volte, per allenamenti molto lunghi, prendo una miscela di zuccheri: maltodestrinefruttosio e saccarosio. Ultimamente, per preparare quest’ultima impresa, mi ero abituato a non prendere niente anche per allenamenti di 100 km.
CHanno stimato che hai consumato circa 28.000 Kcalorie, equivalenti al dispendio energetico di un paio di settimane di una persona “normale”.
S: Si, ci può stare. Durante le altre prove, in cui mi alimento, assumo circa 10.000 Kcalorie al giorno, che sono davvero una montagna di cibo. Porto sempre con me un camel per i sali, uno per gli zuccheri e uno di sola acqua. Poi cerco di rifornirmi di alimenti con il maggior contenuto calorico per unità di peso, in quanto devo trasportare tutto su una slitta che traino: frutta oleosa e disidratata, cioccolata, torte di mandorle, tanto torrone, latte condensato e formaggio grana (anche se mette molta sete). Quando sono al freddo mangio anche due etti di lardo a cubetti al giorno, circa 2.000 Kcalorie. È vero però che, pur partendo con la massima attenzione alla programmazione delle scorte, si devono poi fare i conti con le condizioni estreme. Ad esempio in Canada un anno ha fatto talmente freddo che si è gelato tutto e gli ultimi due giorni ho mangiato unicamente venti confezioni di latte condensato, che tenevo un po’ nella giacca, e quindici stecche di torrone al giorno. Quando sei così stanco, è difficile anche masticare e, per avere energia, l’unica cosa che riuscivo ad assumere erano queste due cose. Ciò vuol dire che ti ritrovi a non poterne davvero più, con la bocca completamente tagliata dai pezzi di torrone congelato. Fortunatamente sono molto forte di stomaco. In questi casi la teoria sul cosa e quanto è meglio mangiare non serve a nulla, conta l’esperienza e conta quello che in realtà è davvero possibile fare. Nel caso poi del record delle dieci maratone, non portavo nulla se non una borraccia e avevo un seguito che documentava l’impresa e che cucinava per me: pasta, pollo, verdure saltate, cose gustose come se fossi a casa. Si ha proprio bisogno di cose buone e piacevoli, in modo che lo stomaco riesca ad accettare tutto quel quantitativo di calorie. Mangiavo mentre camminavo, con il piatto in mano.
CNei giorni immediatamente precedenti l’ultima esperienza, come ti sei gestito?
S: Sono molto spartano in questo. Ho mangiato quello che mi cucinavano i beduini. Loro consumano molta frutta e verdura, minestre e carni bianche. Mangiano in modo molto semplice e sano.
CE subito dopo?
S: Ho finito alle sei di mattina. Ho mangiato a malapena una minestra la sera ma, fino al giorno dopo non sono riuscito a toccare cibo, non avevo lo stimolo della fame. Ho fatto il grosso errore di bere subito mezza bottiglia di acqua che il mio stomaco non ha saputo trattenere, ma avrei bevuto anche una bottiglia di grappa se l’avessi avuta a disposizione. Poi sono riuscito a reidratarmi bevendo a piccoli sorsi dell’acqua con un po’ di sali minerali. Il mattino dopo sono riuscito a fare colazione con del karkadè, del pane con la marmellata e delle omelette.
CIl tuo corpo come ha reagito dal punto di vista del peso?
S: Ho perso circa 4 kg. Lo stesso quando fatto le dieci maratone. Solitamente perdo un kg al giorno, quando mangio. In quest’ultimo caso ne ho persi di più, ma ovviamente erano prevalentemente liquidi e in parte anche massa muscolare.
CHai già ripreso ad allenarti?
S: Si, è difficile star fermo. Sono tornato di mercoledì e nel fine settimana ho ricominciato. Anche se devo dire che a livello muscolare ne sto risentendo ancora.
CCredi che sia solo questione di allenamento? Cioè, se una persona si allenasse come fai tu, potrebbe fare le tue stesse imprese o credi ci sia una componente genetica?
S: La preparazione fisica è essenziale, ma la predisposizione a resistere a condizioni estreme è prettamente mentale. In Canada ho visto atleti preparatissimi, molto più forti di me, ritirarsi perché non ci stavano con la testa. Inoltre si deve essere consapevoli che il fisico si logora, non siamo fatti per correre dieci maratone consecutive. Sono disposto a correre questo rischio perché non sono un professionista, lo faccio per passione e non per lavoro, se mi infortuno mi fermo per un po’, e pazienza.
CChe scarpe usi?
S: Io uso scarpe da trail, ma avendo il 48,5 (14 americano) fatico a trovarle e le devo ordinare via internet.
C: Hai già in mente la prossima avventura?
S: Non ancora, ma vorrei tornare al freddo, in Canada o in Lapponia.
CPer finire, qual è la domanda più bella che ti hanno fatto?
S: È stata quella di Sofia, la bimba di un mio amico. Mi ha chiesto se stavo rincorrendo qualcosa o stavo scappando.

(Articolo scritto per La Scuola di Ancel)


domenica 9 dicembre 2012

I popcorn di Charlot e di RoboCop a confronto


È quasi un rito: coda alla biglietteria seguita da un'altra per acquistare qualcosa da mettere sotto i denti durante la visione. E se non è bibita e popcorn, che film è? Ci si potrebbe quasi fare uno studio scientifico per dimostrare che aiutano a concentrarsi sulla trama del film. Il problema è che spesso non ci si concentra allo stesso modo sulla quantità di volte che si affonda la mano nell'enorme contenitore.
La storia del piccolo chicco di mais scoppiato parte da lontano; furono le tribù autoctone d'America a scoprire questa varietà di mais con la buccia impermeabile e resistente, i cui chicchi scoppiavano quando venivano messi sulla brace. È proprio la buccia impermeabile responsabile della piccola deflagrazione, non consentendo all'umidità di uscire in seguito all'aumento di temperatura e pressione.

Il mais (Zea mays, noto anche come granoturco) è un alimento straordinario. Il chicco, o cariosside, è ricco di fibra e carboidrati complessi (amidi), con l'8-10% di proteine e solo il 4% di grassi che, dalla lontana America, si inserirebbe perfettamente in una moderna dieta mediterranea. È naturalmente privo di glutine, quindi adatto all'alimentazione dei celiaci.

Il suo nome deriva da Zea Francisco Antonio, naturalista e uomo politico, direttore del Giardino botanico di Madrid e titolare della cattedra di Botanica nel 1805.

Ne esistono diverse varietà, usate per scopi diversi: il dentato è usato per l'alimentazione degli animali, il vitreo per produrre la farina gialla, mentre per preparare i popcorn si usa il perlino.

Della spiga (l'infiorescenza femminile che porta le cariossidi, impropriamente chiamata pannocchia) non si buttava via niente: persino le bratee che la ricoprono erano utilizzate per fare materassi.
Ma i popcorn non sono più gli stessi di quelli serviti all'epoca dei film muti e Charlot storcerebbe il naso assaggiando quelli di RoboCop; anche i chicchi dorati infatti si sono evoluti insieme all'industria cinematografica secondo un adattamento parallelo ai gusti del mercato: la gratificazione deve essere immediata, facile, intensa; così i popcorn diventano sempre più grassi, salati, calorici e… tanti.

Tutto conservando l'immagine di alimento sano. In fondo è mais, ricco di vitamine e sali minerali, preziosi per noi quanto per gli aztechi.

Questa trasformazione, dal mais scoppiato degli aztechi al popcorn bomba, è avvenuta aggiungendo qualche semplice ingrediente: sale, olio o burro. E dato che l'olio extravergine di oliva ha l'inconveniente di essere costoso e di rendere unto il prodotto, si usano olio di cocco o di palma, molto ricchi di grassi saturi. A volte, nell'olio fornito insieme alle attrezzature per i cinema, vi può essere l'aggiunta di beta-carotene per rendere il prodotto dorato.

Anche i sacchetti di mais per microonde non sono molto meglio dal punto di vista qualitativo; l'unico vantaggio è che possiamo gestirne la quantità, mentre al cinema la mano continua ad andare dal contenitore alla bocca, senza che si abbia realmente fame. Si chiama effetto razione: la quantità che ci serviamo è quella che ci sentiamo invitati a mangiare.
Quindi non ci dobbiamo certo negare un piacere, solo bisogna fare attenzione alla quantità; magari, la porzione del cinema la possiamo dividere in tre.

Un piccolo consiglio se li preparate a casa: usate una pentola coperta con un filo di olio e, non appena i chicchi iniziano a scoppiare liberando l'amido bianco, lasciate uscire il vapore in modo che il risultato sia fragrante e non gommoso e immangiabile.
Ai tempi di RoboCop, la sfida è ancora quella di riuscire a immaginare un vagabondo con delle grosse scarpe e una piccola bombetta come un gentiluomo di alta classe, povero e maldestro ma buffo e di buon cuore.

Per approfondimenti:
(Articolo scritto per La Scuola di Ancel)

lunedì 3 dicembre 2012

Libri di Sport - La mia piccola stella - Sébastien Chabal

192 cm per 113 kg... Uno dei rugbisti più famosi del mondo è un orco, delicato e simpatico. Un orco che ci regala la sua storia, dall' infanzia sul camion del nonno, all'amore per la donna della sua vita.
Mi piacciono molto gli sportivi generosi, semplici e onesti, che migliorano sé stessi proprio grazie alla dedizione e alla fatica che lo sport necessariamente comporta.
Potrei tagliarmi la barba, sembrare più tranquillo. Ma tanto poi ricresce...
 Sébastien Chabal - La mia piccola stella - Dalai Editore, 2012